Alaska e Indiano erano due levrieri inglesi, due greyhounds. Hanno fatto parte della mia vita un po’ di anni fa, e siccome la nostra convivenza si è interrotta di colpo e per scelta, l’ho pagata cara. Del resto non sono mai stata una impunita, e quindi so che per ogni errore mi arriverà un conto da pagare.
Dopo questa presentazione, sapete già che non sarà un articolo allegro o ironico, come spero lo siano stati gli altri.
1990. Alaska arrivò alla stazione di Monopoli, dal Cinodromo di Roma. Era per me. Spaventata dal viaggio e sola; non c’erano i suoi compagni di corsa, nemmeno i lavoranti del cinodromo. C’era una cassa in legno e lei era in questa cassa. C’era lo stridore dei freni del treno, il fischietto del capotreno, la cadenza ritmica del treno in viaggio, e neanche un goccio d’acqua. Io non sapevo ancora niente perché era una sorpresa, un regalo. Dopo un po’ mi venne portata e scoprì un mondo di cui sapevo pochissimo.
Era uno dei cani corridori che a 5 anni finiva la sua carriera, veniva ceduto gratuitamente a chi volesse prendere un cane già grande e senza impregnazione (imprinting, nel settore). Intanto lei non era più molto spaventata, ma disorientata sì; a parte i volti nuovi, la casa, c’erano le auto, i rumori del traffico, il passeggio estivo cose che lei non conosceva, come anche il guinzaglio al quale, però, si abituò già dopo un giorno.
Il suo libretto di lavoro dice che era una pluricampionessa: il coniglio bianco meccanico con lei non aveva scampo. Lontano dalle corse era timida e riservata, molto femminile nei lineamenti e con un passo felpato più da grosso felino che da cane. A proposito, il suo nome inglese era Charming Chimes.
Indiano arrivò dopo un mese esatto. Per ragioni di lavoro, Alaska rimaneva da sola per molte ore al giorno, per cui pensammo di prendere un altro cane, ovviamente della stessa razza e dallo stesso posto. Tutt’altra personalità. Indisciplinato, baldanzoso, un po’ disobbediente, sempre affamato ma anche molto simpatico. Molto.
Sul suo libretto di lavoro erano riportate diverse vittorie ma anche squalifiche poiché, spesso invece di rincorrere la lepre meccanica percorreva il circuito in senso opposto, per prenderla frontalmente. Ma il regolamento di gara non prevedeva questa opzione e, ridendo, ancora immagino le facce degli scommettitori. Insieme erano una bella coppia di opposti. Sembrava che Alaska fosse la sorella maggiore, saggia e paziente. Indiano, puro divertimento e poche regole.
Una sera, mentre trotterellava allegro e spensierato, fu investito da un ragazzo che proseguì la sua corsa senza neanche fermarsi. Dallo spavento scappò via e lo cercammo per giorni. Quando fu ritrovato, non aveva neanche un graffio: la sua muscolatura forte di corridore lo aveva protetto completamente. Vivendo in un cinodromo, praticamente protetti dal mondo, non avevano sviluppato molto il senso del pericolo.
Per diversi anni furono pezzi di famiglia: molto della nostra quotidianità ruotava intorno a loro, tranne il momento della tavola. Non ho mai apprezzato l’abitudine di tenere il cane accanto quando si mangia, sia perché la tentazione di passargli del cibo potrebbe vincere sulla opportunità di farlo, sia perché ci sono circostanze in cui , è meglio che i nostri cani o gatti, stiano sulle loro brande (tipo quando si hanno ospiti, magari allergici al pelo di animale). Per tenerli in allenamento e per tenere fede alla loro natura, quasi ogni giorno li portavamo a correre fuori città. Come tutti i levrieri, sono anche cani da caccia ma di questo aspetto non ci siamo mai occupati.
Ad un certo punto della mia vita, non potei più occuparmene e così pur rimanendo in famiglia, cambiarono città, anzi regione: la Liguria. Avevo loro notizie ma non li vedevo più, se non un paio di volte l’anno. Ovviamente un tempo insignificante se paragonato a quello in cui avevamo vissuto insieme. Loro molto offesi, si erano dimenticati di me e mi guardavano come se non mi avessero mai conosciuto e come se non fossi stata niente. Era il loro modo di punirmi ma all’inizio non detti peso a questa reazione. Poi, di colpo compresi che l’avevo fatta proprio grossa e data la distanza fisica, sarebbe stato praticamente impossibile riparare al danno. Passò altro tempo e passarono anche loro.
A pochi giorni di distanza, Alaska fu investita e Indiano scappò via, spaventato dai petardi natalizi, sempre in Liguria. Ultimo atto di un legame già interrotto. Dopo di loro non ho più avuto cani, ma se ricapitasse vorrei ancora dei levrieri.
Ah, stavo dimenticando di dirvi che il vero nome di Indiano era Blanco Special.