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Settembre 2021

Esattamente come per “Butch Cassidy”, anche qui i due attori scelti per formare una coppia di amici che lavora insieme, è stata perfetta. Roger Moore e Tony Curtis, nei panni di investigatori per passatempo sono belli, ironici, affascinanti e con un certo fiuto per le indagini.

“Attenti a quei due” è una serie tv andata in onda fra il 1971-72 nel Regno Unito e fra il 1974-81 in Italia, precisamente su Rai1. Una sola stagione composta da 24 episodi.

Come spesso accade, la prima puntata è quella che svela ruoli e svolgimento. Un giudice, di nome Fulton, impersonato da Laurence Naismith, ingaggia due uomini perché compiano indagini per suo conto. Brett Sinclair, aristocratico inglese e Danny Wilde miliardario statunitense non si sono mai visti, l’uno non sa nulla dell’altro ma si ritroveranno a vivere insieme avventure galanti, pericolose e con tanto british humor, che non guasta mai. Lo sfondo, almeno della prima puntata, è la Costa Azzurra, ma le altre puntate saranno girate a Parigi, Stoccolma, Roma e ovviamene Londra.

Lo sceneggiatore ebbe l’idea di accostare due personalità così differenti, prendendo spunto da un episodio de “Il Santo”, in cui Roger Moore interpretava il protagonista, Simon Templar. Il titolo era “L’ex re dei diamanti” e Templar si ritrovava a collaborare con un miliardario texano, in avventure fra il poliziesco e la commedia.

Questo episodio ispirò la creazione de “Attenti a quei due” e una volta scelto l’attore inglese, si passò a cercare un attore americano adatto alla parte di un miliardario di origini povere, un po’ rozzo ma simpatico e spericolato. L’obiettivo era convincere le tv americane ad acquistare la serie e quindi trovare l’attore giusto era fondamentale. Tony Curtis fu scelto dopo che altri due avevano rifiutato. Come avevano ampiamente previsto, questa serie ebbe gran successo nel Regno Unito e in genere in Europa. Io ero una bambina ma non mi perdevo neanche una puntata.

Al contrario, negli USA non piacque e così si abbandonò l’idea di fare una seconda serie, per cui quei 24 episodi restano unici. Si disse anche che i due attori, diversi non solo per copione ma anche nella realtà, non andassero molto d’accordo fuori dal set. Ma questa è un’altra storia, che tra l’altro i due non confermarono mai.

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Bianche che abbagliano, colorate, a fantasia, ricamate o semplici, lunghe al pavimento o più corte. Sto parlando delle tovaglie e dei tovaglioli. E di un po’ di storia che le riguarda.

Come sempre, parto dall’antichità per dirvi che presso i Greci non c’era l’abitudine di usare la tovaglia, non c’era proprio la tovaglia. Fra i Romani, sì.

Non si trattava di una tovaglia come la conosciamo oggi, piuttosto di un panno simile a un tappeto che sistemato sul tavolo, accoglieva cibi e bevande. Nel tempo, questo tessuto si assottigliò e si presentò prevalentemente di colore bianco. Non solo nel mondo laico, ma anche in quello religioso, la tovaglia entrò nell’uso quotidiano dei rituali della messa. Era una tovaglia da altare, bianca e ricamata, che pendeva solo per due lati.

Tornando al mondo laico, nel Medioevo si diffuse “la perugina”, un tipo di tovaglia in lino bianco con fregi di lana o cotone di color azzurro e a volte, ricami raffiguranti animali o piante. Ma qualsiasi tipologia di tovaglia, dava eleganza e prestigio alla tavola; durante il banchetto veniva sostituita spesso in omaggio agli ospiti, oppure ad ogni portata si sovrapponeva un telo di colore diverso.

Questo complemento di arredo, però non fu importante e necessario solo per i momenti di convivialità. Divenne simbolo di prestigio e rispetto anche nel mondo cavalleresco e, il cavaliere che macchiava il suo onore, era sottoposto a una punizione particolare: veniva fatto sedere a una tavola apparecchiata con una tovaglia bianca, tagliata sui due lati che successivamente veniva tolta, e questo gesto significava disprezzo per la persona.

Nei secoli, la tovaglia aumentò la sua diffusione ma sempre fra le classi più elevate della società, realizzata con tessuti e ricami ricercati, sia bianca che colorata.

Nel periodo Barocco, si diffusero le tovaglie damascate e con pizzi, anche da sovrapporre. Questo fu il periodo in cui si produssero le tovaglie più ricche e appariscenti. Dalla seconda metà del ‘700 in poi, tornarono le tovaglie bianche, sempre ricche di ricami e pizzi e sempre esclusiva dei ceti più elevati.

Nei primi anni dell’800 si passò alla filatura meccanica e questo rese il prodotto meno costoso e più accessibile a tutti, fino a oggi.

La storia del tovagliolo è più breve. Comparve sulle tavole intorno al 1400, quando ancora si mangiava con le mani e così, i quadrati di stoffa identica alla tovaglia sostituirono i panni bagnati per pulire le dita. Questi quadrati oltre a pulire e proteggere gli abiti, servivano anche per creare decorazioni che abbellissero la tavola. Un po’ quello che si vede su alcune tavole creative anche oggi. A me piace che sia al suo posto, a sinistra del piatto, piegato a rettangolo, elegante e discreto. A voi?

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Ho iniziato a camminare, nel senso di attività motoria, quasi 20 anni fa. Ad un certo momento, mi ero resa conto che per quanto mi piacesse molto guidare (e continua a piacermi molto), di perdere tempo a cercar parcheggio quando da casa andavo al mio negozio, non ne potevo più. Per fortuna, al ritorno non avevo lo stesso problema, perché abito in un condominio con grande giardino e posti auto.

Quindi ho iniziato una sera di maggio, dopo il lavoro e ho visto che mi piaceva, rilassante e nuovo.

Nel tempo, si è aggiunta un’amica ma ha resistito pochissimo e così ho continuato da sola. Se ci penso, in tutti questi anni le volte in cui ho camminato da sola sono molto più numerose, di quelle in compagnia. Non mi dispiace né l’una né l’altra condizione. In entrambi i casi, mentre cammino riesco a sentire i rumori della natura; osservo invece, che la maggior parte dei camminatori o corridori, ascolta musica con gli auricolari e alcuni cantano anche.

C’è chi porta a spasso il cane, c’è qualche neo-mamma con il carrozzino che cerca di riprendere la linea dopo la gravidanza. Ci sono molti anziani che in coppia o in gruppo, si ritrovano ed è molto bello vederli impegnati e all’aria aperta.

Se cammino verso il mare, mi ricarico già solo per questo: da casa mia il mare non lo vedo, ma ci sono le colline in lontananza e sono graziose con le luci dei lampioni e le auto che sembrano formiche.

Se cammino verso il centro città è tutto diverso: i rumori del traffico, le signore che parlano dai balconi, le auto in doppia fila e i vigili urbani che sbucano quando non è il momento, i negozi bellissimi, i bar alla moda, le piazze sempre frequentate, i turisti, qualche cane randagio.

Chi come me cammina quotidianamente sa di cosa parlo; chi non ha ancora iniziato, lo scoprirà presto. E quindi, vi piace camminare?

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Mentone

di Le righe di Ornella

Mentone è più carina del nome che porta. E’ una città turistica della Costa Azzurra che si affaccia sulla baia del Mar Ligure e dista 11 km da Ventimiglia, città frontaliera della Liguria.

A proposito di Ventimiglia, sempre nella categoria viaggi, troverete un articolo che la riguarda.

Di Mentone conosco molto poco perché, quando ci andavo ero soprattutto in giro fra antiquari, in cerca di mobili e oggetti per il mio negozio. Ventimiglia era la base e la Costa Azzurra territorio di ricerca e acquisti.

Ciò che ricordo sempre di Mentone erano, anzi sono, i negozi della Rue Pietonne quelli per turisti con le ceste di saponette di tanti colori e profumazioni. Quasi tutti i negozi di articoli da regalo avevano cestini di saponette di Marsiglia, ma non da bucato. Ovvio, no? Non le ho mai comprate, perché non riuscivo a scegliere e dicevo sempre che ci sarei ritornata e infatti ritornavo, ma non le compravo mai. Poi ho smesso di andare in Costa Azzurra e sono passati parecchi anni, da allora.

Saponette a parte, la Rue Pietonne è piacevole esattamente come tutte le strade pedonali di tutte le città, non fosse altro che per il fatto che si cammina liberamente, senza automobili.

Esattamente come Nizza, anche Mentone ha la sua “promenade”: quella di Nizza si chiama Promenade Des Anglais” e quella di Mentone “Promenade Du Soleil”.

A proposito di Nizza, sempre nella categoria viaggi, troverete un articolo che la riguarda.

Un sito interessante che non si dovrebbe perdere è il Bastione, un piccolo forte voluto da Onorato II, sovrano del Principato di Monaco, nel XVII secolo. Oggi ospita le opere di Jean Cocteau.

Importante anche l’Orto Botanico, ma qui non ci sono mai stata per cui mi limito a consigliarvelo, per sentito dire.

L’architettura religiosa di questa città è varia: vi segnalo la Chiesa Russa e la Basilica di San Michele Arcangelo, ma ci sono altri siti meritevoli.

Buon viaggio e se ci siete già stati, scrivete nei commenti la vostra esperienza di turisti.

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Eccovi la seconda parte! A giugno pubblicai la prima, cioè le regole per gli invitati. Ora tocca agli sposi.

In passato prima della festa di matrimonio si organizzava la festa di fidanzamento. Era l’occasione per presentare i fidanzati ai parenti e annunciare il matrimonio, più o meno prossimo. Il fidanzato regalava un anello prezioso e la fidanzata ricambiava quasi sempre con un orologio. Oggi il rito di presentazione ufficiale è decisamente in disuso, tranne che nelle famiglie reali e aristocratiche.

Partecipazioni e inviti. Solitamente sono i genitori che annunciano il matrimonio dei rispettivi figli su cartoncino in classico color avorio o bianco, scritto in corsivo inglese. Si consegna a mano o si spedisce almeno 2 mesi prima del matrimonio. L’invito vero e proprio è un cartoncino più piccolo che accompagna la partecipazione, sul quale è scritto il luogo e l’indirizzo del ricevimento. Potrebbe anche esserci una richiesta di conferma e sarà buona regola da parte dell’invitato aderire a questa richiesta.

Rito religioso o civile. Il primo è senz’altro più tradizionale ed emotivamente più sentito, ma anche quello civile, per quanto sia molto breve, con la giusta organizzazione può garantire una calda atmosfera. In ogni caso, le regole sono le stesse.

Lo sposo arriva accompagnato dalla madre prima della sposa, così come pure gli invitati. Anche la madre della sposa arriva prima. Alla sposa è concesso di arrivare con qualche minuto di ritardo. A proposito, il bouquet lo regala lo sposo ed è l’ultimo regalo da fidanzato.

Salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, la cerimonia si compie e dopo il lancio del riso o dei fiori (ultimamente anche dei coriandoli, ma a me non piacciono), di baci e abbracci e delle foto, si va verso il luogo di ricevimento.

Pranzo, cena o buffet che sia, gli sposi non dimentichino di informarsi su eventuali allergie alimentari o restrizioni, degli invitati. L’accompagnamento musicale sarà quasi costante. Tocca ai futuri sposi scegliere il tipo di musica durante i pasti, che sarà diverso per il momento danzante. Tocca anche agli sposi assicurarsi che la musica sia un sottofondo che consente a tutti di chiacchierare in tranquillità, senza dover urlare con il vicino di posto.

Durante il ricevimento poi, gli sposi dovranno intrattenersi con tutti gli invitati, scambiando poche battute e ovviamente ringraziandoli sia per il regalo che per la loro presenza.

Tra un sorriso, un battimani, piedi doloranti per i via dei tacchi, e trucco da rinfrescare si arriva al taglio della torta nuziale. Inutile precisare che la qualità degli ingredienti dovrà essere eccellente; anche l’estetica però sarà di grande importanza: il disegno della torta sarà in accordo con lo stile del matrimonio.

Bella e sontuosa, arriverà in una zona diversa da quella dei tavoli e gli sposi daranno insieme il taglio. La sposa servirà la prima fetta a suo marito e ho scoperto di recente, che questo è un gesto-simbolo con il quale la sposa diventa padrona di casa della nuova famiglia. Che bellezza!

Infine le bomboniere. Ci sono invitati, specie quelli più stretti, che aspettano con ansia mista a paura il momento delle bomboniere. Spesso non piacciono, magari sono ingombranti, fuori tema con la casa o semplicemente brutte. Altri invece le collezionano e le espongono come trofei importanti. E’ forse la cosa più difficile da scegliere e l’unico consiglio valido è quello di dedicare un tempo adeguato alla scelta, sperando di accontentare i gusti della maggior parte.

Completata l’organizzazione, si aspetta il bel giorno, sperando di non aver dimenticato niente. Arriva la vigilia e in qualche parte d’Italia, anche la serenata. Non è quella tradizionale tra lui, lei e il suonatore, che tra l’altro si fa durante il corteggiamento. Questa è come un’anticipazione del giorno dopo e prevede la presenza di familiari e amici più stretti. Nelle serenata più impegnative è previsto anche un aperitivo.

Bene, credo di aver scritto tutto. Se vi viene in mente ancora qualcosa, aggiungetela nei commenti.

Andate e sposatevi!

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Uno dei romanzi più ironico, di quella ironia molto british, che abbia mai letto. Pensate che anni fa lo prestai, ed è pure tornato indietro e integro. Due cose davvero insolite, insieme poi…

I protagonisti sonno due: un impiegato di banca andato da poco in pensione e un’arzilla signora della buona società. In comune hanno la parentela, infatti sono zia e nipote ma non si conoscono. L’occasione del primo incontro è il funerale della madre di Henry (il nipote) che è anche la sorella di Augusta (la zia).

Queste due figure non potrebbero essere più diverse: pacato e abitudinario lui, con un’unica passione che nasce e muore nel suo giardino, le sue dalie; frizzante, anticonformista e sempre affamata di nuove esperienze l’anziana zia. E’ facile capire chi dei due sia quello “giovane dentro”. Ma questo è solo l’inizio. La zia, con tutto il suo particolare carattere, trascinerà il nipote in avventure dove divertimento, illegalità, anticonformismo si saldano perfettamente in un miscuglio esplosivo, soprattutto per il tranquillo Henry ma anche per il lettore.

Henry, è incredulo, frastornato ma a un certo punto anche affascinato da un mondo e da un modo di vivere che non conosceva, distante anni luce dalla sua esistenza noiosamente rassicurante. Prima di scrivere ho, come sempre, dato una occhiata alle recensioni e come sempre, sono molto diverse. C’è chi vede con occhio divertito tutta la trama, chi ritiene che la zia Augusta esageri con la sua vita sopra le righe e che spesso supera i limiti che le leggi impongono, rimanendo impunita. Cattivo esempio? No, mi sembra esagerato.

Qual è l’obiettivo di Graham Greene?

Tendenzialmente, nei suoi romanzi, cerca di far apparire perdonabili persone e comportamenti che non lo meriterebbero. Dai lavori più drammatici a quelli più leggeri, il proposito è questo e riesce bene, dal momento che circa 50 sono i film tratti dai suoi lavori.

E io ho scoperto di recente che anche di questo romanzo esiste la trasposizione in film. Un film del 1972, diretto da George Kukor, in cui il nipote è interpretato da Alec McCowen e la zia Augusta da Maggie Smith (e da chi sennò?).

Infine, se mai possa aver interesse la mia opinione, io l’ho trovato anche delicato, certo solo in alcuni momenti, ma per me lo è. Oltre che divertente. Quindi buona lettura, o buona visione. Scegliete voi!

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A prescindere dal film, questo è uno dei titoli più belli della cinematografia di sempre. In realtà, prima di essere un film è stata una commedia, scritta da Joseph Kesselring e andata in scena con successo a Broadway. Stesso successo per il film, inserito nella AFI 100 Years…100 Laughs, (la lista delle migliori commedie statunitensi), finito di girare nel 1941 ma distribuito nelle sale, nel 1944.

La trama. Un giovane scrittore, neosposo, torna nella casa di famiglia, dove vivono le sue zie, per annunciare il suo recente matrimonio. Queste simpatiche vecchiette hanno un passatempo originale: mandano a miglior vita tutti gli anziani a cui affittano le camere della casa, un po’ depressi, un po’ stanchi della vita, fondamentalmente soli. Il nipote ignora la “missione” delle zie ma la scopre quasi subito dopo il suo arrivo, e non è l’unica scoperta.

Per esempio, che suo fratello, un po’ suonato, è complice delle zie e poi ci sono altre figure, più o meno consapevoli, che frequentano la casa. Come farà Mortimer (Cary Grant, cioè il nipote) a presentare alla giovane moglie, la sua famiglia con le sue stranezze?

Per saperlo bisognerà guardare il film, vedrete che come il coniglio dal cilindro, verrà fuori la soluzione da lieto fine.

Del resto, Frank Capra, il regista, è una garanzia da questo punto di vista, ma questo non significa che i suoi film siano zuccherosi e scontati. Capra descrive i drammi della società americana, presentandola così com’è, volendo che lo spettatore si identifichi con la storia e con i personaggi. Sarà anche per questo, che i suoi film non saranno mai espressione di un suo stile preciso, ma avranno come obiettivo la rappresentazione dello stile di vita americano, con i suoi pregi e difetti.

Del resto, è stato un italiano che si è fatto da sé in America, e ne ha assorbito completamente l’essenza.

Buona visione

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