Archivio mensile

Ottobre 2021

Parto da due certezze: mi piace il colore e mi piace l’armonia, anche se poi le stelle nascono dal caos. Lo diceva molto meglio di me Nietzsche, ma non è di filosofia che voglio parlare.

Ho scoperto l’Armocromia di recente, cioè sapevo di questa scienza ma pensavo fosse riservata a gente dello spettacolo, attori, insomma a chi sta dietro uno schermo, o a luci di teatro. E invece chiunque, facendosi aiutare da esperti, può scoprire la palette di colori perfetta per il proprio colore di capelli, occhi e pelle. E io ho scoperto che ci sono colori che mi “ingialliscono” e colori che mi “illuminano”. Inconsapevolmente li usavo tutti, perché mi sono sempre e solo fatta guidare dal gusto e dalla preferenza per alcuni colori e tonalità, al posto di altri.

Ebbene, alla fine della mia consulenza io sono risultata un “Inverno Profondo Soft”, che detto così sembra una astrazione. Poi ho avuto tutte le spiegazioni del caso, compreso il fatto che sicuramente da ragazza sarò stata un “Inverno Profondo” ma che con l’età sia subentrata la componente grigia che riguarda sempre capelli, occhi e pelle. Perché sì, con l’avanzare degli anni, cambiano anche gli occhi e la pelle, e invece siamo sempre e solo concentrati sui capelli.

La palette dedicata a me non prevede colori accesi, né colori neon, neppure colori pastello (che ho sempre usato). Niente rosso fuoco, ma rosso spento. Sul nero ho letto opinioni diverse, ma certamente il nero totale è sconsigliato. In effetti mi indurisce. Semmai al nero si può abbinare uno dei colori in palette, anche con un foulard o una collana. Magari un tuxedo.

Il bianco c’è (per fortuna), pure l’argento, ma non l’oro. L’arancio no, a meno che non sia abbinato al viola, oppure al blu e di seguito nei colori in palette. Ho due cardigan arancioni, uno dei due acquistato da poco e mai indossato. Che ci faccio? Li abbinerò come sopra. E adesso veniamo ai verdi. Ce n’è più di uno. Ora, proprio il verde è in coda, non mi piace molto. Ci sono delle tonalità che non metterei, però su altre posso riflettere. E poi i lilla, i viola, i malva , i grigi e un paio di gialli, i marroni e i tortora, blu, turchesi e celesti, e frutti di bosco.

L’esperienza è stata piacevole, leggera e istruttiva e poi la consulente molto gentile e disponibile. E ho una consapevolezza in più su me stessa. Perché sì, sapere quali colori mi valorizzano, anche nel trucco, mi fa sentire più sicura e più carina. E anche questo serve, nella vita.

 

Potrebbe anche interessarvi la categoria: FILM

0 commento
7 FacebookTwitterPinterestLinkedinTumblrRedditStumbleuponWhatsappTelegramLINEEmail

Pescara

di Le righe di Ornella

La prima volta in Abruzzo risale al 1976, viaggio di agosto con la mia famiglia. Avevamo la roulotte, quindi il contatto con la natura era assicurato. Purtroppo, quell’anno agosto fu parecchio piovoso per cui la vacanza durò meno del previsto, ma fu bella, interessante e con qualche novità, per esempio che feci il mio primo giro a cavallo. No, era un pony, comunque aveva 4 zampe.

Mio padre preparò l’itinerario qualche giorno prima della partenza. Pescara era una delle tappe, ma poi fu l’ultima perché, appunto, la pioggia continua ci impose di anticipare il rientro.

Per fortuna, per la tappa a Pescara beccammo un giorno soleggiato e caldo. La prima cosa che visitammo (manco a dirlo) fu la casa di Gabriele D’Annunzio. Avevo 11 anni e non ero mai entrata prima di allora nella casa di un personaggio importante (fra tante cose ha inventato diverse parole, e anche il mio nome). Mi ricordo che feci fatica a non toccare le cose che facevano parte dell’arredo; e non sapevo che molti anni dopo mi sarei occupata di antiquariato, ma certamente già apprezzavo.

La visita fu tranquilla, anche se c’erano diversi turisti come noi, e ricordo che c’era una guida, ma è un ricordo vago. Bella casa, e mi dicono che il “Vittoriale degli Italiani” sia ancora più bello, e bisogna che vada a visitarlo.

Lasciata la casa-museo di D’annunzio, si possono raggiungere i Trabocchi. Si tratta di antiche palafitte che erano l’abitazione dei pescatori e delle loro famiglie e consentivano di pescare rimanendo a casa. Oggi sono dei tipici e ricercati ristoranti di pesce. Non ci sono mai stata, anche nelle visite successive alla città, poiché la cucina di pesce non è tra le mie favorite. Poi c’è il Lungomare di Pescara, un viale alberato, lungo 10 km con pista ciclabile, che passeggiando troverete molto rilassante.

E a proposito di mare, a Pescara c’è il ponte più lungo d’Italia, il Ponte di Mare. Costruito nel 2009, collega da nord a sud il fiume Pescara. Sapevate che Pescara prende il nome dal fiume che l’attraversa?

Per passeggiare o semplicemente per fare una pausa caffè o proprio mangiare, potrete visitare Piazza della Rinascita, diciamo il salotto di Pescara; è sempre pedonale ed è molto carina. L’ultima volta in cui ci sono stata ho comprato 4 libri da un ambulante che aveva la bancarella all’ingresso della zona pedonale. Ce n’era più di uno, per la verità. Di piazze a Pescara, ce ne sono almeno altre 3, fra centro moderno e centro storico.

Se invece volete passeggiare nel silenzio della natura, potete visitare la Pineta d’Avalos, dal nome degli antichi proprietari. E’ una riserva naturale, protetta dalla Regione Abruzzo. Viene anche chiamata Pineta Dannunziana, ma ne ignoro il motivo.

Ovviamente, come per ogni città che si rispetti ha anche la sua architettura religiosa e militare: la Cattedrale di San Cetteo, voluta da D’Annunzio e nella quale si trova la tomba di sua madre (per citarne una); Il Bagno Borbonico, antico carcere del Regno delle Due Sicilie ma di costruzione più antica, XVI secolo.

Questo, e molto altro potrete visitare a Pescara e non dimenticate Corso Manthoné, nel centro storico.

0 commento
3 FacebookTwitterPinterestLinkedinTumblrRedditStumbleuponWhatsappTelegramLINEEmail

Che idea avete dei treni? Io altalenante, perché nei film o nei cataloghi di viaggio sono sempre belli, puliti e confortevoli, quando non di lusso; nella realtà invece, spesso sono sovraffollati, oppure poco puliti e poi non manca mai chi allunga le gambe sul sedile di fronte, mostrando i piedi nudi o le calze ma anche le scarpe, perché il mondo è vario e gli scostumati pure. Non si fa.

Parliamo di buoni comportamenti in treno.

Cominciamo col dire che è buona norma, prima di salire sul treno, attendere che scendano i passeggeri che hanno terminato il viaggio. Una volta su, se abbiamo prenotato sapremo esattamente dove andare, e se per errore il nostro posto è stato occupato da qualcun altro, cercheremo un modo garbato per fargli sapere che deve sedere altrove.

A me è capitato due volte di dover rinunciare al mio posto, ma vi assicuro che la prepotenza subìta mi ha guastato il viaggio.

Salutiamo semplicemente con “Buongiorno” se è giorno, e di seguito secondo l’orario di partenza; se capitiamo accanto al viaggiatore diciamo “socievole” abbiamo due possibilità: assecondare una conversazione senza però entrare nei dettagli; se non abbiamo voglia di fare conversazione, tiriamo fuori dalla borsa un libro. Credetemi, funziona sempre, io lo uso soprattutto al mare. A proposito di borsa, per i bagagli esiste la rastrelliera o comunque un vano apposito. Il bagaglio a mano lo terremo sulle ginocchia o sul sedile accanto se è libero o finché è libero. Sulle ginocchia anche il nostro animale di famiglia…No, non intendevo la suocera.

Viaggio lungo? E’ probabile che ci colga una certa sonnolenza e che vogliamo sonnecchiare un po’. Io, ma non so se lo troveremmo sui libri di galateo, consiglio di inforcare gli occhiali da sole, per due motivi: 1) eviteremo di oscurare il finestrino, togliendo la visuale agli altri, 2) è sicuramente più intimo. Ovviamente, composti sul nostro sedile e preghiamo di non russare.

Dopo il riposo, potrebbe venir voglia di sgranchirsi le gambe: possiamo farlo senza scambiare il corridoio del treno per la via pedonale di una città, senza guardare gli altri passeggeri e se siamo al telefono, manterremo un tono di voce normale-basso. E se ci viene fame?

Se non è previsto un vagone ristorante, organizziamoci per uno spuntino discreto. Per discreto intendo che non sia troppo odoroso, che sia facile da mangiare e che non lasci tracce, che ne so dei crackers.

Così industriamoci e godiamoci il viaggio, che è un momento bello tanto quanto la destinazione che abbiamo scelto.

0 commento
3 FacebookTwitterPinterestLinkedinTumblrRedditStumbleuponWhatsappTelegramLINEEmail

Diretto, conciso ma chiaro. “Chiedi alla polvere” ha un titolo così, che dà l’idea dello scatto prima della corsa. Lascia il dubbio che sia un ordine oppure un consiglio, ma per il resto è esattamente quello che dice. Tre parole e l’ultima rimanda, con il pensiero, alla Grande Depressione americana. Per i pochi che non lo sanno, si chiamò così la famosa crisi finanziaria del 1929, che ebbe ripercussioni mondiali, e che toccò tutte le fasce sociali, per diverso tempo.

Così, la polvere del romanzo è quella del Middle West, una polvere che dove si posa non fa crescere nulla, esattamente come le speranze perdute di chi, per via della crisi non ha più niente. Lo stesso Autore, John Fante, appartiene a una famiglia povera, genitori italiani emigrati e molta fatica quotidiana. Nato a Denver, ad un certo punto della sua giovinezza si trasferisce in California per accedere ai corsi di scrittura dell’università di Long Beach.

La sua produzione letteraria sarà di successo, ma questo romanzo più di tutti riceverà il plauso di lettori e critica. E farà da apripista agli scrittori della “beat generation”.

Questo romanzo fa parte di un ciclo ed è per certi versi autobiografico. Arturo Bandini, il protagonista, è figlio di immigrati come Fante, e come Fante sogna di diventare uno scrittore e di trovare un editore che voglia pubblicare i suoi lavori. Ci riesce già con il primo romanzo intitolato “E il cagnolino rise”, tralasciando il fatto che in tutta la storia non c’è alcun cagnolino.

Al successo di scrittore non corrisponde un successo personale. Vive in una stanza di albergo e conosce gli altri clienti, per esempio un veterano che gli chiede continuamente soldi in prestito, che non può restituire. E’ innamorato di Camilla, cameriera del bar Columbia. Camilla non corrisponde questo sentimento, perché a sua volta è innamorata di Sammy, proprietario del locale; in più è sempre a corto di soldi, mangia solo arance ed è un po’ depresso.

Il resto della trama lo lascio a voi.

I romanzi prima di questo si chiamano “Aspetta primavera, Bandini” e “La strada per Los Angeles”; quello successivo, “Sogni di Bunker Hill” che Fante, ormai cieco dettò alla moglie.

John Fante godette della grande ammirazione di Charles Bukowski (di cui a pensarci non ho ancora scritto nulla), ma anche di registi italiani come Dino De Laurentiis, per il quale lavorò come sceneggiatore.

In ultimo, nel 2006 è uscito il film tratto dal romanzo, ma come spesso accade la trama è stata modificata in alcuni punti. Poi non dite che non vi avevo avvisato.

Buona lettura!

0 commento
5 FacebookTwitterPinterestLinkedinTumblrRedditStumbleuponWhatsappTelegramLINEEmail