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Febbraio 2022

Questo romanzo l’ho letto tanti anni fa, forse prima di sposarmi. Lo scelsi, in mezzo a tanti, poiché il suo titolo malinconico mi attraeva, e mi fa ancora effetto. È un romanzo incompiuto di Francis Scott Fitzgerald, incompiuto a causa della sua morte improvvisa. Benché egli avesse lasciato numerose note e appunti sui temi che voleva trattare e come trattarli, l’atto conclusivo sarà inevitabilmente frutto della fantasia del lettore o della critica.

La trama

Hollywood patinata e luccicante degli anni ’40, è lo sfondo di una storia drammatica di ascesa e declino di un produttore cinematografico. Fitzgerald, per la costruzione del protagonista e del suo antagonista, si ispirò a due importanti produttori cinematografici dell’epoca: Irvin Thalberg e Luis B. Mayer, capo della famosa MGM. Così nacquero Monroe Stahr e Pat Brady.

Monroe Stahr è appunto un produttore cinematografico, che partito dal niente ha accumulato enormi ricchezze e qualche rivalità e invidia, nel suo ambiente. È vedovo, ma trascorre volentieri del tempo con Cecilia Brady (proprio la figlia del suo rivale nel lavoro), fino a quando, un giorno, durante una scossa di terremoto, non si imbatte in una ragazza mai vista prima e che somiglia incredibilmente a sua moglie, morta 5 anni prima. Non sa chi sia e nel trambusto provocato dalla scossa, la perde ma è intenzionato a ritrovarla. E ci riesce. Si chiama Kathleen Moore. Frequentandola scopre, da subito, che la somiglianza con la moglie è solo estetica; la sua personalità è ben diversa, sicuramente più fresca e semplice, ma meno ammaliante. Nonostante questa scoperta, è fermo nel volerla nella sua vita, un po’ per rivivere il passato e un po’ perché la solitudine ha, per lui, un peso che non vuole sentire.

Mi fermo qui, ma questa non è la conclusione, la storia procede, e come sempre invito a scoprire da soli come si svilupperà, leggendo.

Il film

Nel 1976 uscì il film, diretto da Elia Kazan, regista, sceneggiatore e tanto altro, enorme. Vincitore di due Oscar alla regia e uno alla carriera. Monroe Stahr fu interpretato da Robert de Niro, Pat Brady da Robert Mitchum, ma l’intero cast è fatto di nomi altisonanti del cinema. Io non l’ho ancora visto, conosco solo la scena del nichelino; chi, invece, lo ha già visto, certamente saprà di cosa parlo.

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Come per tutti gli accessori, anche il cappello è 4 stagioni, e tante occasioni. Ovviamente ha la sua storia e se le mie informazioni non mi ingannano, fu inventato in Egitto.

Un po’ di storia

Il copricapo egiziano era usato prevalentemente dal faraone, e si presentava anche come una tiara. Era un turbante in Mesopotamia, invece nel mondo greco e romano non si diffuse particolarmente, ma era comunque usato. I Greci usavano il pileo, copricapo di feltro o pelle come simbolo di alcuni mestieri; presso i Romani, invece, il cappello significava libertà e si donava agli schiavi, quando diventavano uomini liberi.

Durante il Medioevo, gli uomini usavano soprattutto i cappucci dei mantelli, le donne copricapi impreziositi da fiori e nastri, e dal Nord Europa si diffuse la moda dell’hennin, un cappello conico dalla cui punta cadeva un velo. Mi ricordo che i miei libri di fiabe riportavano illustrazioni di principesse e fate con questo copricapo. Nel tempo, il cappello acquisì uno spazio fisso nella moda maschile e femminile. Nel 1600, in Francia, si diffuse il tricorno; si trattava di un cappello a tre punte, al principio in uso solo dai militari, si diffuse successivamente fra i civili, da appuntare sulle famose parrucche.

Con la Rivoluzione Francese, il tricorno fu abolito, ma in genere tutto quello che ricordava i fasti e il lusso della monarchia e dell’aristocrazia. Il 1800 è il secolo del cappello a cilindro o la sua versione pieghevole, il gibus, per gli uomini e il bonnet per le donne. Si trattava di una cuffia, a volte di stoffa rigida e a volte di paglia, arricchita da fiori e due nastri per fermarlo sotto il mento. Verso la fine del XIX secolo, i cappelli femminili erano davvero grandi e molto decorati: ai fiori si aggiunsero le piume. Dei piccoli monumenti.

Il cappello continuò a essere presente nella moda fino alla Seconda Guerra Mondiale, dopodiché si perse la consuetudine di usarlo e di possederne diversi, secondo le occasioni.

Personalmente, li uso solo in inverno, per proteggermi dal freddo. Voi, invece?

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Fra poco sarà S. Valentino e quindi, assecondando l’ovvio, ho scelto una storia d’amore. One night stand, questo il titolo originale; Complice la notte il titolo in italiano del film scelto per questo articolo.

La trama

Max (Wesley Snipes) è un regista pubblicitario, con un matrimonio in crisi e un amico caro, Charlie (Robert Downey Jr), gravemente malato. Durante un viaggio di lavoro a New York, conosce Karen (Nastassja Kinski); i due si piacciono e finiscono per passare la notte insieme. Il giorno dopo si salutano e tornano alle proprie vite. Passano i mesi, Max è sempre più scontento del suo matrimonio e ripensa alla donna conosciuta a New York e che non può rintracciare, poiché in quell’unico incontro non si erano detti i rispettivi nomi. Intanto, Charlie si aggrava e Max torna a New York per stare accanto all’amico e proprio in quella occasione rivede Karen, scoprendo che è la moglie del fratello di Charlie. Il resto della trama, come sempre, dovete scoprirlo da soli.

Qualcosa sul film

Il finale vi colpirà certamente, così come colpisce sempre la New York glamour: belle atmosfere, bei locali, gente alla moda, bei vestiti e bella vita apparente. Il regista Mike Figgis, per intenderci, quello di Via da Las Vegas, ha curato anche le musiche e ha fatto proprio un bel lavoro. Wesley Snipes, ha vinto la Coppa Volpi, per la migliore interpretazione maschile.

Guardatelo e poi commentate.

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In un tempo che privilegia molto il presente, io rimango legata al passato e ai ricordi, in un modo speciale. Non è polemica né retorica, semplicemente nella mia vita ho verificato spesso quanto sia stato presente, il passato (adoro i giochi di parole).

Emozioni e ricordi

Il cervello è un organo molto potente e sa distinguere tra memoria e ricordo. I ricordi hanno un legame stretto con le emozioni, la Psicologia è certa di questo. Così, noi sperimentiamo sempre come un ricordo positivo sia un riparo e una consolazione e che possa restituire fiducia in se stessi e poi, come invece un ricordo triste sia in grado di farci rivivere una esperienza negativa, di paura, di rabbia o malinconia. La memoria invece, può essere asettica, meccanica, anche se è importantissima. I ricordi di qualsiasi tipo: un sapore, un odore, una canzone che ci rimandano a un evento, un viaggio, sono nelle nostre radici passate, sono fondamentali per il presente e il futuro perché ci descrivono e ci definiscono , e ci proteggono dal rischio di ripetere esperienze dolorose.

I miei ricordi

Quando penso ai ricordi che ho accumulato finora, penso a una cascata d’acqua fresca, ma rumorosa. Penso a un’onda che investe, magari in un momento qualsiasi della giornata, riportando alla mente un fatto, una frase, anche un gesto, che sembrava seppellito e invece è vivo e magari mi fa sorridere come un’ebete per strada, oppure mi dà un nodo alla gola e so che succede a tutti, non mi sento speciale per questo ma mi colpisce ogni volta e ogni volta penso all’acqua, forse perché è il mio elemento naturale.

Voi a cosa associate i vostri ricordi?

Una citazione per concludere

Niente di ciò che abbiamo posseduto nella mente una volta può andare completamente perduto (Sigmund Freud).

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