La letteratura si è occupata spesso della condizione della donna, attraverso la penna di autorevoli scrittori, con classici senza tempo. La Religeuse di Denis Diderot, l’episodio de La Monaca di Monza nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e Storia di una capinera di Giovanni Verga hanno messo in luce la triste sorte di giovani donne costrette dalla famiglia a prendere i voti. Dei tre, ho scelto Giovanni Verga.
Qualche notizia
Verga scrisse questo romanzo a Firenze, nel 1869; la pubblicazione avvenne due anni dopo. Contiene cenni autobiografici, oltre a una denuncia della pratica dei voti religiosi forzati che procurava donne infelici e conventi pieni di suore senza vocazione, e senza la possibilità di ribellarsi.
La trama
Maria è una bambina che a 7 anni perde la mamma e suo padre, incapace di occuparsi di lei, la rinchiude in un convento di Catania. Trascorre così molti anni senza il calore di una vera famiglia, fra regole ferree del classico convento di clausura . Quando, proprio nella città, scoppia una epidemia di colera, tutte le ragazze che soggiornano nel convento devono momentaneamente tornare a casa . E’ questa una occasione favorevole per Maria che spera di poter creare un vero legame familiare con suo padre, che nel frattempo si è risposato e ha avuto due figli con la seconda moglie.
In più, nei pressi della casa di Maria vive la famiglia Valentini: i genitori e due figli, Annetta e Antonio, detto Nino. Maria diventa amica di Annetta, e nello stesso tempo, sente nascere interesse per Nino, il quale ricambia. A dir la verità, Maria non sa decifrare quello che sente per Nino, essendo del tutto nuova al sentimento d’amore, ma attraverso la corrispondenza epistolare con Marianna, una sua amica del convento, si chiariscono in lei tutti quei pensieri un po’ confusi, che la turbano. Ora che conosce i suoi sentimenti e quelli di Nino, deve affrontare altre due questioni: riuscire a non tornare in convento e sostenere il senso di colpa verso Dio. In tutto questo, c’è la matrigna che ha capito la situazione, non la vuole intorno e le intima di tornare in convento, anche perché l’epidemia è ormai passata e il suo soggiornoa casa è ormai inutule.
Con la trama mi fermo qui, spero di avervi incuriosito e che lo leggerete presto.
Perché questo titolo?
E’ proprio Verga a raccontare della scelta di associare Maria a una capinera che aveva un giorno visto chiusa in gabbia. Osservando il povero uccellino rinchiuso, aveva riconosciuto i tratti della tristezza, ma anche della rassegnazione. La capinera non si ribella al suo destino in gabbia, anche se vede gli altri uccelli liberi di volare. Esattamente come Maria, che ha accettato senza discutere la volontà di suo padre. Verga presenta il padre come un uomo poco assertivo, un uomo che conosce la sofferenza di sua figlia e le macchinazioni della sua seconda moglie contro sua figlia, ma non muove un dito per cambiare il corso delle loro vite.
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