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Recruiter

Tutti, ma proprio tutti i lavori da dipendente passano per un colloquio preliminare. Posso dire che l’ansia del colloquio di lavoro sia pari a quella del primo giorno di scuola materna? Quando non si sapeva bene perché, da quel momento, le mattine sarebbero state in un posto che non era casa con una signora che non era mamma?

Sì, posso.

Solitamente, il colloquio avviene al mattino. Fare o non fare colazione? Lo stomaco è chiuso ma è necessario forzare un pochino e aprirlo; poi, se vivete al Sud, e anche il colloquio è al Sud, vi conviene mangiare qualcosa di vostra iniziativa, altrimenti le matriarche (nonne e mamme) ci penseranno per voi. E proprio quel giorno non sarebbe una buona idea.

Dalla cucina si passerà alla camera da letto. Già si sente l’armadio tremare di paura, perché sa bene che nei successivi 30 minuti sarà il mobile più maltrattato. Manco a dirlo, i capi disponibili non sono adatti a un colloquio di lavoro e quelli che potrebbero andare sono da pulire o stirare. Un disastro!

Dopo varie prove, anche la pratica “cosa mi metto?” è archiviata; ultima occhiata allo specchio e si esce di casa. Appena fuori dal portone incontrerete l’amica logorroica di vostra madre, con il suo vivace cagnolino che cercherà di attirare l’ attenzione poggiando le zampe anteriori…Dove? Come dove? Ma sui vostri pantaloni blu, ovvio!…

Vi liberate anche di lei, poi il traffico, il parcheggio, un’ultima occhiata al trucco, o alla barba e con le scarpe strette, andrete incontro al vostro futuro. Intanto tra voi e il vostro futuro c’è la persona che vi riceverà, vi metterà a vostro agio ma subito dopo inizierà a porvi delle domande apparentemente strampalate ma che in realtà hanno un senso (almeno uno).

Il recruiter, in inglese si chiama così, (a proposito, com’è il vostro inglese?) ha un ufficio luminoso, una scrivania impeccabile, qualche pianta, dei libri, e un paio di poltrone e, nel tempo del colloquio, si sentirà padrone di voi e si atteggerà a filosofo e psicologo, alternerà un’alzata di sopracciglio a un sorriso e voi oscillerete tra un “non gli piaccio” e un “forse sì”. Vi chiederà cosa vi aspettate dal lavoro per cui vi siete presentati, vi chiederà dove e come vi immaginate fra 10 anni e altre domande più o meno interessanti. Ma la più bella è l’ultima: “Mi dica, in tre parole, perché dovrei sceglierla”. A me non l’hanno mai fatta, ma provo sincera tenerezza per i meno fortunati che si ritrovano in questa situazione.

Perché si fa questa domanda? Cosa si vuole sentire? L’autocelebrazione sarebbe facile, ma anche rischiosa; ammettere di aver bisogno di lavorare e basta, è da persone sincere, ma anche più rischioso. Ecco, mi sento di dire che la migliore delle risposte non è stata ancora data (Nazim Hikmet, perdonami!).

Insomma il colloquio di lavoro è un fatto molto serio che richiede sobrietà, autoironia, garbo e tanta pazienza e, che voi siate o meno la persona giusta per quel lavoro, ricordate sempre che tutto si gioca in 15/20 minuti e che comunque vada, quando tutto sarà finito (per consolarvi o per festeggiare), un bel cono gelato con doppia panna, sarà il vostro amico del cuore.

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