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Bon Ton

C’è chi va dal parrucchiere tutte le settimane, c’è chi ci va occasionalmente e poi, c’è chi detesta proprio questa pratica e non supera le 2/3 volte l’anno (mia madre).

Cosa si deve fare

Innanzitutto, rispettiamo l’orario di appuntamento e se la coda nel traffico ci impedirà di essere puntuali, avvisiamo lo staff, di modo che la cliente dopo di noi non resti in attesa, inutilmente. Cerchiamo di avere i capelli in ordine (anche se sembra superfluo): avere una testa da sistemare ma in ordine, ci rende più presentabili. Non diamo fretta allo staff, solo perché le nostre giornate sono sempre super piene di cose da fare, non è un loro problema; del resto una seduta dal parrucchiere dovrebbe anche contribuire a farci rilassare.

Sul taglio, colore, o entrambi dobbiamo essere molto chiare e precise ma anche flessibili, intendo dire che se il parrucchiere ci consiglierà in modo diverso, dovremo probabilmente affidarci alla sua esperienza.

La mancia. Argomento spinoso in genere, per alcuni dovrebbe essere eliminata e per altri, dovrebbe rimanere di moda. Io propendo per la seconda, ma ciascuno decida autonomamente.

Cosa non si non fare

Il rumore di più asciugacapelli in funzione, potrebbe indurci ad alzare la voce, per dire una qualsiasi cosa: facciamo attenzione e ricordiamo che solo gli strilloni per strada, sono autorizzati. E a prescindere dal tono di voce, curiamo il tipo di conversazione: niente pettegolezzi, mai.

Due parole ai parrucchieri

Spessissimo, nei saloni, passa la musica: va benissimo, ci mancherebbe! Però, il volume troppo alto non va bene, anche se è molto usato. E ancora, non fate commenti negativi sulle clienti pesanti, magari sparlando con altre clienti. Si rischia di perderci. E questo vale anche per i dipendenti: una volta, mi è capitato di sentire lo staff lamentarsi del titolare, davanti alle postazioni, e posso assicurare che l’ho trovato imbarazzante.

Buona seduta.

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Che idea avete dei treni? Io altalenante, perché nei film o nei cataloghi di viaggio sono sempre belli, puliti e confortevoli, quando non di lusso; nella realtà invece, spesso sono sovraffollati, oppure poco puliti e poi non manca mai chi allunga le gambe sul sedile di fronte, mostrando i piedi nudi o le calze ma anche le scarpe, perché il mondo è vario e gli scostumati pure. Non si fa.

Parliamo di buoni comportamenti in treno.

Cominciamo col dire che è buona norma, prima di salire sul treno, attendere che scendano i passeggeri che hanno terminato il viaggio. Una volta su, se abbiamo prenotato sapremo esattamente dove andare, e se per errore il nostro posto è stato occupato da qualcun altro, cercheremo un modo garbato per fargli sapere che deve sedere altrove.

A me è capitato due volte di dover rinunciare al mio posto, ma vi assicuro che la prepotenza subìta mi ha guastato il viaggio.

Salutiamo semplicemente con “Buongiorno” se è giorno, e di seguito secondo l’orario di partenza; se capitiamo accanto al viaggiatore diciamo “socievole” abbiamo due possibilità: assecondare una conversazione senza però entrare nei dettagli; se non abbiamo voglia di fare conversazione, tiriamo fuori dalla borsa un libro. Credetemi, funziona sempre, io lo uso soprattutto al mare. A proposito di borsa, per i bagagli esiste la rastrelliera o comunque un vano apposito. Il bagaglio a mano lo terremo sulle ginocchia o sul sedile accanto se è libero o finché è libero. Sulle ginocchia anche il nostro animale di famiglia…No, non intendevo la suocera.

Viaggio lungo? E’ probabile che ci colga una certa sonnolenza e che vogliamo sonnecchiare un po’. Io, ma non so se lo troveremmo sui libri di galateo, consiglio di inforcare gli occhiali da sole, per due motivi: 1) eviteremo di oscurare il finestrino, togliendo la visuale agli altri, 2) è sicuramente più intimo. Ovviamente, composti sul nostro sedile e preghiamo di non russare.

Dopo il riposo, potrebbe venir voglia di sgranchirsi le gambe: possiamo farlo senza scambiare il corridoio del treno per la via pedonale di una città, senza guardare gli altri passeggeri e se siamo al telefono, manterremo un tono di voce normale-basso. E se ci viene fame?

Se non è previsto un vagone ristorante, organizziamoci per uno spuntino discreto. Per discreto intendo che non sia troppo odoroso, che sia facile da mangiare e che non lasci tracce, che ne so dei crackers.

Così industriamoci e godiamoci il viaggio, che è un momento bello tanto quanto la destinazione che abbiamo scelto.

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Sui gesti non esistono concetti universali, perché per esempio, ci sono gesti brutali che a qualcuno piacciono molto, anche perché bisogna ammettere che hanno il vantaggio dell’immediatezza. Per esempio, fare le corna. E’ un gesto che ha due significati: di tradimento e risale alla mitologia greca. Il Minotauro infatti era stato concepito dal tradimento della regina di Creta (Pasifae, credo) con il Toro di Creta. Minosse, re di Creta era il cornuto. L’altro significato è di approvazione e complicità, ma in Nord Europa. Quando i bambini si arrabbiano e fanno la linguaccia, normalmente sorrido; al contrario, se la fanno gli adulti, specie per una fotografia, lo apprezzo meno.

E in tema di gestualità o di linguaggio non verbale, c’è una casistica ampia. Per esempio nel gioco del poker, ci sono i cosiddetti tells: una serie di gesti, a volte inconsapevoli a volte fatti ad arte. Ho provato a giocare a poker un paio di volte ma non mi piace (neanche burraco) e quindi se dimentico le regole, figuriamoci se conosco il significato delle espressioni dei giocatori, ma insomma diciamo che ogni espressione può essere sincera o truccata, per cui tanto vale concentrarsi sul gioco. Possibilmente per vincere.

Poi c’è la gestualità a scuola. Non so come sia adesso, ma quando andavo a scuola io, gesticolare era il metodo per suggerire durante le interrogazioni; forse oggi con la tecnologia è più facile, ma allora il gesto giusto al momento giusto, salvava la pagella. E a tavola?

La gestualità a tavola, forse più che in ogni altra situazione, dovrebbe essere particolarmente misurata. Schiena dritta e braccia basse, niente gomiti a tavola, ma solo i polsi. Ed è inutile precisarlo, non si gesticola con le posate in mano (non ho resistito e l’ho scritto lo stesso). Gli uomini non trascurino di versare acqua o vino nel bicchiere della donna con la quale stanno cenando, con lentezza in modo da evitare che il liquido si versi fuori.

Ma il gesto galante per eccellenza è l’inchino per chiedere la mano. Se posso esprimere una opinione personale, a me non piace quel tipo di inchino, però so che molte donne lo apprezzano e quindi, uomini che pensate di inginocchiarvi, sappiate che sarà sensato tenere ben presente la personalità della vostra fidanzata prima di decidere se farlo in un luogo pubblico o privato, in compagnia di amici o familiari stretti, oppure completamente da soli.

E dopo aver pesato e valutato tutte le possibilità, pregate che vi dica “sì”. Buona fortuna

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Su amicizia e dintorni, da sempre, sono stata particolarmente selettiva. Quando scrivo “da sempre” è proprio così, prendetelo alla lettera. Non so bene perché saltai la scuola materna, ma già alle elementari compresi che il luogo comune per cui si debba essere amici di tutti, non faceva per me. Educazione e rispetto sempre e a tutti, gentilezza anche ma l’amicizia è come una riserva naturale: molta bellezza, molte specialità e molto riguardo.

Io sono stata anche fortunata, poiché di delusioni amicali, ne conto 2 o forse 3, dovrei fare un ripasso, ma insomma non oltre. Quando ci penso sento una punta di amarezza, ma ho commesso anche io degli errori e ho chiesto scusa subito quando mi è stato chiaro, chiedo scusa adesso per quelli inconsapevoli.

Vi sarete accorti che esistono aforismi per ogni cosa, e quindi anche per l’amicizia; che siano seri, stucchevoli o divertenti dicono tutti una verità condivisibile, poi ci sono le migliaia di verità soggettive, quelle per cui pensiamo di essere unici. La mia verità è che anche l’amicizia più bella e delicata necessiti di comportamenti appropriati. Non scriverò di affetto e buoni sentimenti, poiché in una amicizia sono l’unico punto di partenza possibile. Scriverò di fiducia: un amico deve sempre essere degno di fiducia e questa fiducia dobbiamo ricambiarla, per esempio difendendolo da chi lo attacca. Se poi, invece, di un attacco si tratta di un pettegolezzo, la nostra difesa sarà ancora più rigorosa.

Rispetto. Con un amico avremo cose in comune; ovviamente rispetteremo le cose che ci differenziano ridendoci su per sdrammatizzare, se possibile. Generosità. Gli amici si aiutano e ci aiutano senza ricompensa. Altrimenti non sono e non siamo amici. Senza approfittare, tout court.

E i momenti complicati? Esistono, perché essere amici non vuol dire che andrà sempre tutto liscio, che si passerà insieme ogni momento libero, che si avrà lo stesso credo religioso, lo stesso credo politico, gli stessi gusti a tavola, a cinema, a teatro, gli stessi hobbies, la stessa ragazza…Ehm no, questo non c’entra…Insomma, l’amicizia è un mondo nel mondo, dove si sta bene se ci si sente liberi nelle regole.

E se vi presto un libro, lo rivoglio.

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Quante volte ci siamo morsi le labbra un attimo dopo aver detto una parolaccia, a qualcuno oppure al vento (così solo per sfogare la rabbia)?

Se riusciamo a contarle, vuol dire che non sono molte e questo è buono. Quando si parla di essere e avere, di buone maniere non solo di facciata ma soprattutto di struttura personale, non si può prescindere dal linguaggio. Quello dei bambini è sempre divertente, il loro tentativo di ripetere le parole usate dai grandi è importante e va incoraggiato. Da parte degli adulti, è augurabile una certa attenzione ai contenuti, ma anche alla forma.

Normalmente, un bambino non dice parolacce ma, crescendo e interagendo, inizierà a far caso a tutta una tipologia di espressioni che non si addicono a chi abbia una buona educazione.

Superata la soglia dell’adolescenza, scoprirà che si trova nel punto più alto della parabola, che riguarda la modalità espressiva sciagurata, in cui parolacce e volgarità in genere, razzolano come pennuti in Piazza San Marco.

Forse, avere dimestichezza con il turpiloquio (non ricordo cosa accadesse nelle due o tre comitive che ho frequentato) gli servirà per essere accettato in un gruppo; durerà qualche anno, poi troverà il modo e la voglia di liberarsi dei condizionamenti del capobranco, e magari uscire dal branco.

Fino ad allora, eviterà le parolacce in casa con genitori e fratelli, con i nonni, e soprattutto se ci sono ospiti dei genitori. All’università o al lavoro, avrà sicuramente perduto la smania di farsi conoscere per le modalità al ribasso, e inizierà la fase delle qualità al rialzo. E in queste le parolacce non sono previste, mai!

Poi cresceranno anche le occasioni di parlare in pubblico: mantenere un linguaggio elegante e sobrio in ogni contesto, accrescerà la fiducia e l’interesse di chi ascolta. Personalmente, posso comprendere la parolaccia che sfugge al controllo in un momento di rabbia, ma la parolaccia sistematica che entra stabilmente nel linguaggio ordinario, no. Mi toglie il piacere della conversazione e della considerazione. E a voi?

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O tempora, o mores. Così avrebbe detto Cicerone, tra l’altro senza il punto esclamativo che, invece, fu aggiunto nel Medioevo, perché nel mondo latino non si usava.

Dunque, non scriverò di corruzione, come Cicerone contro Catilina; scriverò di come sia velocemente cambiato, almeno qui in Italia, il modo di salutare a causa della (ormai è classificata così) pandemia da coronavirus. In situazioni normali, noi italiani siamo estroversi, e ancora di più noi meridionali. Baci e abbracci non ci fanno difetto, anche quando sono obiettivamente superflui, o magari per qualcuno, fastidiosi. Le buone maniere, in materia di incontri e saluti, sono precise e non guardano la posizione geografica: valgono sempre e ovunque, e anche se possono modificarsi nel tempo, la sostanza della buona educazione rimane intatta.

Mi spiego meglio: il baciamano, che a me piace moltissimo, non è più in voga da tempo ma, se per caso appartenete all’esiguo numero di uomini che vorrebbero recuperarlo, sappiate che si fa solo in luoghi chiusi, non per strada, né al cinema o ristorante, a teatro sì, è l’unica eccezione. Solo alle signore, mai alle signorine.

Dopo questa divagazione, torniamo alla questione principale. Dicevo, potenza di un virus, e da un momento all’altro è mutato il modo di essere e fare con gli altri. Distanza di sicurezza in strada, niente contatti, di mani o guance. Sui social gira un video di gente che si saluta toccandosi i piedi. Però, andando a rispolverare qualche testo sul galateo, per rinfrescare la memoria, mi è sovvenuto che anche la stretta di mano ha delle regole, esattamente come il baciamano. E’ ammessa durante le presentazioni, o se ci si incontra dopo tanto tempo; mai in luogo pubblico a meno che, l’occasione non avvenga senza creare scomodità a tutti gli altri. Deve essere ferma, né energica né molliccia.

Baci e abbracci. Sui baci, devo dire che vedo una esagerazione immotivata. Fatta esclusione per i familiari, per il fidanzato o coniuge, non c’è ragione per baciarsi a ogni occasione con gli amici. Anche qui, l’eccezione riguarda gli incontri dopo tanto tempo. In ogni caso, il galateo per baci e abbracci, prevede che sia il più anziano a decidere. A pensarci, tutte queste regole, se osservate alla lettera, non sono poi tanto lontane dalle disposizioni attuative del governo, dalla comparsa del coronavirus.

Solo che adesso c’è un motivo urgente e serio per metterle in pratica. Adesso non si tratta più di bon ton, di saper vivere e galateo; adesso si tratta di stare “uniti ma distanti” per sconfiggere questo virus, proteggerci e proteggere tutti, indistintamente. Si tratta di essere ligi per rispetto verso medici, infermieri, e tutti gli altri lavoratori che non si stanno fermando mai, per esempio camionisti e corrieri che garantiscono i beni necessari a farmacie, ospedali e supermercati, e quindi a tutti noi. E allora coraggio e pazienza, perché ne serve a iosa.

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Da 3 anni mi capita spesso di viaggiare in pullman. Ho scritto qualche tempo fa dei mezzi di trasporto in generale e della moto in particolare. Oggi è il turno del pullman, ma non parlerò tanto della tipologia di viaggio, quanto dei viaggiatori.

Dunque, i viaggiatori salgono sul pullman sorridendo, e sicuramente lo faccio pure io. Però è vero: forse si sorride perché si sta per partire; io sorrido quando riesco a salire i due gradini senza inciampare o cadere (cadere è il mio destino). Una volta su, si cerca un posto a sedere: da quando alcune compagnie consentono di prenotare, mi servo di questo servizio perché voglio il posto al finestrino; molti invece, vanno all’avventura e magari scelgono proprio il mio posto prenotato. Mi è successo a luglio, destinazione Roma. Insomma c’era una coppia di giovani spagnoli e lei era seduta al mio posto. Gli autisti non hanno fatto una piega, e siccome a volte sono timida, ho rinunciato a prendere la ragazza per capelli e sistemarla su un altro sedile. Scherzo!

Dicevo, ho rinunciato al mio posto e mi sono seduta dietro di loro, accanto a una giovane suora, molto gentile e carina. Però ero al lato corridoio. Circa un anno prima mi era capitata una cosa simile ma con un uomo maleducato. Va bene, andiamo a vanti.

Saluti di rito e raccomandazioni dell’autista e si parte. Ora, guardare il panorama mentre si viaggia è rilassante e piacevole in tutte le stagioni ma, potrebbe capitare che vogliate appisolarvi un po’; bene, se siete fortunati avrete la gestione della tendina oscurante, altrimenti quello dietro di voi, deciderà che i 2/3 di questa tendina sono i suoi e che dovrete dormicchiare con il Sole dritto negli occhi.

Durante il tragitto, fra le altre cose, vi renderete conto di quanto sia variegato il popolo di viaggiatori.

C’è quello che sonnecchia, ma anche quello che russa, quello che legge, quella che ascolta musica e batte il tempo sulla gamba. Quello che lavora al telefono e siccome dall’altro capo c’è una persona vagamente sorda, è costretto a urlare. Ci sono i fidanzati che guardano un film sul tablet e mano nella mano lo commentano, quello che “oddìo ho l’esame domani e non ricordo nulla”, quello che mangia solo un frutto, quelli che invece hanno una scorta di cibo da bunker.

Quelle che devono raccontare i malanni dell’ultimo anno, le amiche che parlano di viaggi fatti e da fare (e tu non hai viaggiato neanche un decimo di loro), quelle che hanno visto il film che tu hai in programma e così inizi a tossire per finta, così non sentirai come finisce, e poi dulcis in fundo, quelli che arrivati a destinazione sani e salvi, applaudono. Sì, ci sono anche quelli.

Per dire, niente di insopportabile, anche se capite bene che il bon ton del viaggiatore, a volte, viene sacrificato. Ammetto che mi piace viaggiare in pullman proprio perché mi godo queste situazioni a volte grottesche, ma buone per un vignettista o una blogger in erba. Sappiate però, che se vi trovo seduti al mio posto, vi faccio volare a destinazione senza che abbiate il tempo di dire “oibò”. Naturalmente, sempre con il sorriso. Ciao

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