Spunta dal buio con il suo mantello nero, il cavallo nero e il viso basso. Non desidera parlare e non vuole che gli si parli, così ha lo sguardo rivolto dove non c’è nessuno. E’ il cavaliere nero, ma non uno qualsiasi. E’ il mio. Può darsi che ogni donna abbia il suo. Il mio non assomiglia a nessun altro.
Vive in una città antica, vecchia e giovane; grandissima e verdissima, tagliata in due dal fiume “sacro ai destini di Roma”. E’ molto alto e se cammino qualche passo avanti a lui, invece che accanto, allunga la mano e la poggia sulla mia spalla, perché niente deve sfuggire al suo controllo. Le sue idee sono forti, si batte per esse e si arrabbia se qualcuno le contesta. Se è di buonumore, è molto socievole e nessuno direbbe che sia timido, e invece sì. Dice che preferisce leggere in estate, ma per suonare il basso o la chitarra ogni stagione è giusta. Se urla è come Giove Tonante, ma quando ride è contagioso. Quando mi fa arrabbiare, la sua risata mi basta per perdonarlo (io non lo faccio arrabbiare mai).
Si sveglia che il sole c’è già, ma gli piace rubare dei minuti alla mattina. Poi si alza, e una cascata di acqua tiepida lo sveglia del tutto. Quando si sente fresco e pulito, mi bacia. Intanto la tavola è pronta per la colazione e gli piace la varietà. Poi sella il cavallo e parte per le sue missioni. Tra lui e il suo cavallo c’è un accordo: se non gli imporrà l’andatura, non sarà disarcionato. In queste sue missioni spesso ha un vessillo. Fa parte del suo Credo. Quando incontra altri cavalieri è gentile e camerata; premuroso con le dame e loro con lui, direi un po’ svenevoli con lui.
Tra un fatto e un altro manda il suo falco da me, con poche righe su un rotolo di carta e il falco non riparte fino a quando non ho scritto una risposta. Succede molte volte, per tutto il giorno. Povero falco. Ad un certo punto della giornata, inizia ad avere fame ma mangia poco e male. Non ha tempo, lui e il suo cavallo corrono sempre fino al tramonto.
Poi si ferma, ma non smette di chiedersi se abbia fatto tutto quello che poteva e doveva e con questo pensiero torna al castello. E’ molto stanco ma sa come ricaricarsi. La musica è la soluzione, perché è sua complice da sempre e ascoltarla lo rinfranca. Anche suonarla lo rinfranca. Poi ci sono altre cose a cui non rinuncia. Tipo guardare due compagnie che corrono incontro a un pallone e se lo contendono, se lo rubano, anche provocando capitomboli e cadute degli avversari e vince chi, tirandolo, centra una porta fatta di rete. Se non vince la compagnia del cuore, vi consiglio di stargli lontano abbastanza da non essere investiti dai suoi dardi!
Dal castello vede la sua città e si commuove, perché è bellissima e perché è maltrattata. Dice che se ne andrebbe per non vederla sfiorire, ma sa bene che non lo farà. E poi ci sono io. E può bastare.